sabato 14 gennaio 2017

Calamandrei e la governabilità

Pubblicato da Claudio Cereda - 8 Luglio 2016
Il 3 settembre 1946 il professor Costantino Mortati (DC, 1891-1985) presenta una ampia relazione sulla organizzazione costituzionale dello Stato. Si tratta di una relazione che merita di essere letta sia per l'analisi dei diversi modelli costituzionali, sia per rendersi conto, per confronto, di come il gruppo democristiano abbia svolto, nella costituente, una funzione egemonica.
Essendo io figlio di una cultura storica formatasi a sinistra, devo dire che la lettura dei documenti mi induce a rivedere il peso di quella che nel dopoguerrra fu chiamata egemonia da parte del PCI e della cultura di sinistra.
I costituenti della sinistra, in ordine alla struttura dello stato balbettano o ricamano. Sono tutti proiettati sul tema dei diritti e hanno poco da dire sugli ordinamenti. Intervengono i repubblicani, alcuni grandi padri iberali come Einaudi, ma è Mortati a dare la linea.
Nei giorni precedenti la II sottocommissione aveva svolto una discussione generale (di premessa) sulle caratteristiche del nuovo stato in relazione al tema delle autonomie convenendo sul fatto che il nuovo stato dovesse superare l'impostazione centralistica. Era una specie di premessa generale alla istituzione delle Regioni come parte integrante dello Stato, nonostante le perplessità dei liberali e delle sinistre, e questo è stupefacente e poco noto visto che, a cose fatte, i ruoli si invertiranno e il PCI divenne il paladino del regionalismo.
Nella giornata del 4 e del 5 intervengono in molti ed è chiaro che si andrà verso un sistema parlamentare bicamerale in cui il potere esecutivo avrà dei margini ridotti di autonomia. E' a questo punto che Calamandrei, che si stava occupando come relatore del sistema giudiziario prende, la parola per spiegare la sua solitaria preferenza per il presidenzialismo, ma per sottolineare soprattutto che la carta della democrazia si gioca e si giocherà intorno alla governabilità. In alcune parti dell'intervento sembra di ascoltare le preoccupazioni di Renzi.
Ed ecco il resoconto integrale del suo intervento. La sua lettura (sul carattere cruciale della governabilità come essenza della democrazia) insieme al suo intervento del marzo 47 in Assemblea sulla discussione generale del testo appena licenziato dalla commissione dei 75 (intervento molto più ampio e che pubblicherò nei prossimi giorni), mi hanno lasciato molte perplessità sul carattere strumentale con cui lo citano molti sostenitori del NO.
Leggere i testi e non fidarsi dei pensieri da Baci Perugina che un tempo venivano chiamati Pensieri di Mao e stavano nel libretto rosso invece che nell'incarto dei cioccolattini.

Ritiene di essere il solo che abbia qualche simpatia, nonostante la discussione, per la repubblica presidenziale.
Crede che il risultato di questa discussione sia piuttosto scoraggiante, tanto per i fautori della repubblica presidenziale, in quanto ve n'è uno solo, che è lui, quanto per i fautori della repubblica parlamentare, che sono tutti gli altri, perché tutti, a quanto sembra, sono d'accordo nel ritenere che le costituzioni non servono a cambiare la situazione sociale quale è in realtà. Questo ha affermato l'onorevole Mortati nella sua relazione, in cui ha concluso dicendo che con le disposizioni si può fare assai poco. Quel che conta è quello che c'è sotto.
È quello che ha detto ieri l'onorevole Einaudi, il quale ha spiegato che la repubblica presidenziale funziona bene negli Stati Uniti perché là v'è il sistema dei due partiti, e che in Inghilterra funziona altrettanto bene il regime parlamentare, perché anche in Inghilterra ci sono i due partiti; e dove non esistono i due partiti, ma c'è una pluralità, uno sminuzzamento dei partiti, non funziona bene né la repubblica presidenziale, né quella parlamentare. Questa sembra la conclusione alla quale è poi arrivato l'onorevole Lussu, il quale, in sostanza, ha detto che in Italia sussiste il pericolo della guerra civile; onde occorre alla testa dello Stato un uomo che cerchi di evitarla.
Pur riconoscendo che la Costituzione non è che la forma cui si deve far aderire la sostanza sociale, crede che si possa avere una certa fiducia nella efficacia pedagogica delle leggi. La legge non basta a modificare la realtà, ma può essere uno degli stimoli per introdurre anche nella vita. politica il costume, il quale venga a modificare questa realtà sociale.
Nell'attuale situazione italiana, quale delle due forme di repubblica, presidenziale o parlamentare, può sembrare più idonea a contribuire al ristabilimento o allo stabilimento di un costume politico che faccia gradatamente avvicinare l'Italia ai paesi in cui funziona la democrazia? La democrazia, per funzionare, deve avere un Governo stabile: questo è il problema fondamentale della democrazia.
Se un regime democratico non riesce a darsi un governo che governi, esso è condannato.
A chi dice che la repubblica presidenziale presenta il pericolo delle dittature, ricorda che in Italia si è veduta sorgere una dittatura non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità dei partiti e della impossibilità di avere un governo appoggiato ad una maggioranza solida che gli permettesse di governare.
Quindi il problema è questo: come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti che, in Italia, in questo momento non esiste e che ancora per qualche tempo non esisterà, ma che deve invece funzionare sfruttando o attenuando gli inconvenienti di quella pluralità dei partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione?
Cioè: qual'è la forma dello Stato che meglio serve, a far funzionare un governo di coalizione, impedendo quelle, crisi a ripetizione che sono la rovina della democrazia, quella rovina che, se non fosse evitata, ricondurrebbe inevitabilmente, a più o meno lontana scadenza, ad una dittatura? Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici. Premesso questo, quelle cautele pratiche che sono state suggerite da vari colleghi per garantire che nella repubblica parlamentare si abbia stabilità di governo, sono veramente efficaci a questo scopo? È stato detto che bisognerà regolare la mozione di sfiducia, renderla difficile. Ma le crisi nei governi di coalizione avvengono indipendentemente dai voti di sfiducia: così oggi stesso in tutti i giornali si leggono allarmi dì crisi, indipendentemente da qualsiasi voto di sfiducia. È il governo di coalizione che non ha coesione, che si frantuma. Quindi è inutile emettere disposizioni che regolino e rendano difficile il voto di sfiducia, quando il pericolo è proprio nella scarsa solidità dei governi di coalizione.
D'altra parte, gli sembra poco efficace anche la cautela da altri suggerita di far annunziare dal Capo del Governo un programma di lavoro, la cui approvazione assicuri, automaticamente al Ministero una certa durata.
E' stato qui autorevolmente e lealmente spiegato come questa cautela sia assai illusoria e come, nonostante questa cautela, si possa arrivare ad una crisi il giorno dopo in cui il messaggio ha conseguito la maggioranza.
In conclusione: si può trovare un mezzo pratico più efficace di quelli proposti? Tutti sanno che questo è un momento in cui in Italia ogni Governo, per potere esplicare unopera efficace, deve avere la sicurezza di poter lavorare tranquillamente su un piano da svolgersi non con provvedimenti alla giornata, ma in un periodo di tre, quattro o cinque anni.
Quindi è un problema che sorge proprio dalla tragica situazione italiana, dalla necessità di piani la cui realizzazione sia resa possible dalla stabilità del governo. E allora, vi sono dei mezzi più efficaci di quelli proposti, per garantire questa stabilità? Non è tanto questione di nome: repubblica presidenziale o parlamentare. Ammesso pure che anche in repubblica parlamentare il Presidente, cioè il Capo dello Stato, debba essere al disopra dei partiti, nominato non come corifeo di un programma pohtico, ma come organo equilibratore che sta al disopra dei partiti, l'essenziale è che non il Capo dello Stato, ma il Capo del Governo abbia la sicurezza di poter governare. V'è modo di dare questa sicurezza? Se questo modo non esiste, comunque si voti, alla fine, sull'ordine del giorno, rimarrà in tutti un senso di imbarazzo e di delusione: si saranno votate delle formule, ma non si sarà trovato il modo di contribuire efficacemente a risolvere la situazione italiana.
In queste condizioni, se altri mezzi più efficaci non vengono suggeriti, egli rimane attaccato alla repubblica presidenziale. In questa, poiché il Presidente, per riuscire eletto, deve conseguire la metà dei voti, è necessario che si formi una coalizione, uno schieramento di due gruppi di partiti; e poiché l'elezione avviene su un programma del Presidente, è più facile che su questo programma si formi una coalizione che abbia probabilità di essere più stabile di quella illusoria che si può invece attendere dai sistemi proposti da chi dà la preferenza alla repubblica parlamentare.
Per queste ragioni voterà contro l'ordine del giorno del collega Patricolo.

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